Giornata internazionale delle Famiglie

Nel 1994 le Nazioni Unite hanno dichiarato ufficialmente il 15 maggio come la “Giornata internazionale della Famiglia”.

Questa giornata anno dopo anno sta acquistando una notevole importanza, poiché sempre più tipologie di famiglie stanno venendo riconosciute.

Se prima si parlava principalmente della “nuclear family” (famiglia tradizionale), ovvero quella composta da una madre e un padre sposati tra di loro con almeno un discendente biologico/adottivo di entrambi i genitori, adesso l’elenco si è allungato:

– Single parent family – Famiglia con un genitore single: vi è un solo genitore nell’ambiente domestico che cresce almeno un bambino. Per lo più si tratta di genitori divorziati, rimasti vedovi o che hanno deciso di non sposarsi.

– Extended family – Famiglia estesa: composta da due o più adulti di generazioni differenti di una stessa famiglia che condividono la stessa abitazione (insieme ai discendenti). Normalmente questo tipo di famiglia si forma per aiutare i parenti, normalmente anziani, malati o per una questione economica.

– Childless family – Famiglia senza figli: una coppia o un gruppo di persone di qualsiasi possibile background, che per un qualsiasi motivo non hanno nessun figlio. Può essere una scelta generata dal non volere figli, dal preferire concentrarsi sulla propria carriera o dal non poterne fare.

– Step Family – Famiglia Patchwork –  Famiglia Intreccio: famiglia composta da almeno uno dei genitori che ha deciso di risposarsi. Due famiglie differenti si fondono in una sola. 
Abbiamo quindi un genitore con i suoi figli che si sposa con una nuova persona, avente figli o meno.

Grandparent Family – Famiglia di nonni: nonni che crescono i propri nipoti per svariati motivi, come la morte dei loro genitori, impegni lavorativi e così via.

Osservando questo elenco appare quindi chiaro che sembra non esserci spazio per famiglie prevedenti genitori omosessuali o presentanti elementi di genere non binario.
Procediamo dunque a completare il tutto dicendo che la “nuclear family” (come tutte le altre, d’altronde) nel 2021, in moltissimi paesi, prevede anche la possibilità che i genitori siano dello stesso sesso o che non si riconoscano in un gender binario, quindi non si identifichino né come uomini né come donne.

All’elenco si potrebbero aggiungere anche le famiglie poliamorose, in cui più di due adulti fanno parte di una stessa relazione amorosa con possibile presenza di discendenti biologici/adottivi di questi.

Esiste dunque una definizione di famiglia che riesca a comprendere tutte quelle di cui si è appena parlato e anche eventuali tipologie di famiglie miste?
L’Istat si è adoperato in questa direzione, intendendo la famiglia come “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela, o da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune. Una famiglia può essere costruita anche da una sola persona”. La definizione più neutra possibile per evitare di intercorrere in problematiche sociali di sorta, ma allo stesso tempo ben studiata e congegnata, così da accogliere tutto.

In questi anni si sta vivendo un grande cambiamento sociale e non solo per via della pandemia.
Il mondo sta diventando sempre più variegato e si sta andando giorno dopo giorno verso l’accoglienza di questa varietà.

Le famiglie in tutto il mondo stanno cambiando, molte diventano più piccole, con l’aumentare del numero di famiglie monoparentali. Attualmente, il 65% di tutte le famiglie è composto da coppie che convivono con figli di qualsiasi età o da coppie che convivono con entrambi i bambini e da membri della famigli allargata, come i nonni. 
La diminuzione del numero di famiglie allargate e il crescente numero di famiglie monoparentali mettono in risalto il tema della protezione sociale.
In Italia tra tutte le famiglie con almeno due persone, le famiglie senza figli sono 5,5 milioni (il 32% del totale), 11,6 milioni le famiglie con figli. Un cambio di rotta particolarmente interessante rispetto al passato.
Diminuisce il numero dei matrimoni, aumenta il numero di unioni civili e di coppie non coniugate con figli.

Questo millennio è sinonimo di cambiamento, tanto che anche il concetto di famiglia tradizionale non è più lo stesso, purtroppo, però, sembra che si sia notevolmente più impegnati a combattersi socialmente e politicamente per le proprie opinioni discordanti su temi come adozione, divorzio o aborto, piuttosto che nel cercare di capire quali possano essere i veri valori di una famiglia, indipendentemente da quale essa sia e da chi sia composta.

Giornata mondiale del vivere insieme in pace

L’interazione tra culture genera cultura

L’identità di ciascuno di noi viene costruita a partire da diversi livelli. Quella individuale inizia nei primi mesi di vita, grazie alla progressiva consapevolezza di esistere come realtà diversa rispetto ai nostri genitori e agli oggetti che i nostri sensi possono vedere e toccare. Si tratta di un processo relazionale che ci porta a definirci a partire dal confronto con ciò che è altro da noi. Da un punto di vista più esteso, l’antropologia studia un processo più complesso di formazione d’identità, complementare a quello individuale, che nasce dal senso di appartenenza a un gruppo di persone, alle quali ci si sente legati per una sorta di “destino comune”. L’identità etnica fa riferimento a una precisa cornice culturale, in cui vengono condivisi e trasmessi valori, stili di vita, credenze e significati, distinti da quelli di altri gruppi. In altre parole, la nostra cultura d’appartenenza contribuisce alla costruzione della nostra identità, talvolta in maniera così pregnante e assoluta da metterci nelle condizioni di credere di doverla difendere da ciò che è “diverso” da noi. Nel confronto con espressioni sociali e culturali di altre etnie possiamo dar origine a quel fenomeno chiamato etnocentrismo, ovvero un senso di superiorità dei propri modi di agire e di pensare rispetto a quelli caratteristici di altri gruppi etnici, considerati di conseguenza di poco valore e talvolta pericolosi. Un antidoto all’etnocentrismo viene dal relativismo culturale il quale sostiene che tutte le culture, in quanto espressioni dell’uomo, sono dotate di una loro coerenza interna, che non sta all’osservatore esterno valutare con i propri parametri di giudizio. Riconoscere il pari valore delle diverse culture che popolano il pianeta, permette una maggiore apertura nei confronti del mondo e una possibilità di confronto generativa. Infatti, nell’immaginario comune vi è l’errata convinzione che la cultura sia un qualcosa di statico che i nostri antenati hanno creato e che noi continuiamo a portare avanti. In realtà, la cultura è soggetta a un processo dinamico, costante e capillare che si esprime nell’interazione tra i membri di una società o all’esterno di essa e trova la sua espressione centrale nella comunicazione. Non va intesa come veicolo passivo di contenuti, come semplice trasferimento di messaggi, bensì come la sede di un’elaborazione attiva, che a ogni passaggio si rinnova e riceve nuova forza. Rappresenta un mezzo per dialogare, per entrare in relazione con chi comprende e usa gli stessi codici e per confrontarsi e imparare da chi invece ne utilizza di diversi. In entrambi i casi, viene a crearsi uno scambio reciproco, un’interazione in grado di creare, di modificare, ma soprattutto di dare continuità alle diverse culture.


L’ibridazione culturale è uno dei fenomeni sociali più importanti: è ciò che garantisce il progresso costante, e dunque la vita, di una cultura. L’interazione tra culture genera cultura. Pensiamo ai simbolismi nazionali. Questi diventano spesso il marchio di fabbrica del proprio Paese a tal punto che per i cittadini diventano un vanto da sfoggiare a fini turistici e un modo per farsi riconoscere all’esterno come parte integrante della propria Nazione. Diventano parte di ciò che contribuisce a costruire l’identità del cittadino. Ma come reagiresti se ti dicessi che alcuni di questi in realtà sono stati importati da altri Paesi? O meglio, che sono frutto dell’interazione tra diverse culture? Pensiamo alla polenta, piatto tipico del Nord Italia. La farina di mais proviene in realtà dall’America Latina ed è stata esportata solo in un secondo momento in Italia. Eppure, la cultura italiana ne ha fatto un simbolismo molto rilevante se si pensa anche a come spesso gli abitanti delle regioni del Nord vengono chiamati con l’appellativo “polentoni”. Oltre ad essere una pietanza che fa parte di diversi piatti di punta della cucina del Nord Italia, è stata caricata di un forte significato identitario che i cittadini usano per differenziarsi dagli abitanti delle regioni del Sud Italia. I simboli sono preziosi archivi di significati e, come tali, strumenti insostituibili di continuità culturale, ma non per questo devono aver per forza avuto origine nel Paese che si impegnano a rappresentare.


Viviamo sempre più a contatto gli uni con gli altri, sia fisicamente, sia attraverso la rete globale delle informazioni, dei mercati, dei rapporti internazionali. Chi più, chi meno, siamo spesso impreparati a comunicare con chi ha riferimenti culturali diversi e si trova ad avere con noi rapporti di varia natura. Viviamo in un periodo storico in cui la conoscenza di culture diverse, da curiosità di pochi e da ristretto interesse scientifico, è diventata un’urgente necessità per tutti. La comunicazione interculturale è ora la base dei rapporti tra gli uomini. Non si tratta soltanto, per quanto importante, di sviluppare un atteggiamento di apertura, di disponibilità a ciò che non ci è familiare. Occorre dotarsi di conoscenze e strumenti d’analisi appropriati, ma sopratutto affinare una sensibilità a comprendere e interpretare messaggi di diverso segno, a dialogare con chi ha riferimenti culturali distanti dai nostri e codici di comunicazione a noi poco noti. Solo questo può portare a una migliore convivenza umana.

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